venerdì, marzo 17, 2006



La realtà spirituale dell'Uomo

C'è un vecchio adagio che dice:
"Il bianco vuole conquistare il mondo, il cinese ne vuole essere il più ricco e l'indiano pensa solo a non ritornarci dopo morto".
Questa classificazione fa risaltare il giudizio di società altamente intrisa di spiritualità che si suol dare dell'India, paese che ha mantenuto le sue radici e la sua religione tradizionale (con tutti i suoi mille volti). L'India infatti non ha mai subito la totale disintegrazione del suo patrimonio culturale per mezzo di dottrine allogene, come per esempio è successo ai bianchi per opera del monoteismo ebraico e delle sue ipostasi materialiste (capitalismo, comunismo etc.).
In buona sostanza in India si mantiene ancora un sapere originale Indoeuropeo che altrove è stato ammazzato a furia di persecuzioni, sdradicamento di massa e gulag.
Riconosciuta al subcontinente la funzione di 'grande anima del mondo' in un epoca che nulla sa dello spirito, c'è da chiarire che essendo quella della trascendenza una materia troppo complessa, non si può che tremare di vergogna a soltanto tentare di accennarne in quattro righe buttate lì.
E' però certo che almeno si deve ribadire il fatto che l'Uomo NON è fatto di sole molecole e atomi, e che esistono in lui forze profonde a tutti i livelli, e soprattutto queste potenze esistono fuori di lui. Questo è il lascito della religione Indoeuropea tradizionale, ancora vivente in una sua forma locale proprio in India.
Valore, Onore, Verità non appartengono solo al dominio umano e soggettivo, ma sono il riflesso nel soggettivo di forze divine alquanto reali e tutt'altro che "ideali". Ecco perché la sapienza antica delle nostre genti guardava con orrore la natura menzognera e intrigante delle popolazioni semitiche, la vedeva come qualcosa di blasfemo oltre che di insopportabile e maligno.
Il Guerriero non è il soldato (o peggio che mai il bandito partigiano infrattato) e la sua definizione in tutte le sapienze antiche è: colui che combatte per la giustizia. Giustizia divina, concetto che racchiude anche la fedeltà a se stessi e alla propria natura interiore.
Insomma, si qualifica in noi una forza metafisica potentissima che ci spinge a fare quello che facciamo in palestra non solo - o non tanto- per gli aspetti mondani e convenzionali, ma anche e soprattutto perché un ricordo ineffabile di una certa essenza affiora dal notro subcosciente e ci sospinge verso pratiche che riflettono la nostra anima.
La nostra vera natura, in base alle possibilità che il nostro karma ci mette davanti, impone il ritrovare anche in questo mondo ultramaterialista e cafone certe pratiche che già abbiamo conosciuto in altre vite e che per noi sono necessarie. Scopo di ogni esistenza che voglia dirsi umana e non puramente bestiale è l'apprendimento, la conoscenza di se stessi e del senso spirituale di ognuno, e i marzialisti possono partire dal dato della loro passione atletica per iniziare una ricerca che volge alla radice della conoscenza stessa: usare la forza dell'amore per l'Arte come trampolino per la negazione dell'ideologista nichilista che ci circonda e per riscorprire la Via dello spirito.
Una cosa deve essere chiara al combattente moderno che, come i suoi antenati, cerca una luce dentro di sé: lo spirito esiste e nulla contanto i 'pareri' e le opinioni altrui, altrettanto quanto potrebbe contare la faziosa posizione di chi respingesse la realtà del Sole nel cielo; esso splende indifferente a chi crede in lui o meno.

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