lunedì, ottobre 31, 2011



IL TEOREMA DELL'ARTIFICIERE


Una caratteristica dell'apprendimento è il continuo re-imparare. Informazioni, nozioni o concetti che si sa di sapere ma che una volta riesaminati, rimasticati ci sembrano meglio capiti o addirittura finisce che li consideriamo sotto una luce del tutto diversa.

Al recente seminario autunnale della nostra scuola di Jiu Jitsu, nel descrivere la sostanziale complessità del registro tecnico dell'arte suave, il mestre Tisi ha così chiosato: "Nel BJJ devi conoscere a fondo anche posizioni che non gradisci e che non userai, altrimenti diventa impossibile difendersene. E' come nella professione di chi disinnesca le bombe: si deve saperle costruire anche se non se ne piazzerà mai una".

Il BJJ richiede al praticante di studiare dozzine e dozzine di posizioni, variamente distribuite tra proiezioni, passaggi, escapes, raspados, finalizzazioni e via discorrendo. Le combinazioni e le varianti sono praticamente infinite e quel che è peggio è che nuove guardie esotiche, sottomissioni astruse vengono dimostrate in gara praticamente ogni giorno. Le basi sono quelle, ma anche restando attaccati alla più old delle schools il novero di roba da sapere a menadito non è piccolo. 

Come fare a essere abili artificieri allora?

Tanto sudore. Passare giornate intere sul tatami, e vabbene, ma anche avere sempre una certa umiltà che ci ricordi quanto è impossibile non venire colti in fallo se, dopo anni di esperienza, si finisce per "sedersi" e faticare a ripassare continuamente l'enorme corpus del Jiu Jitsu. Il guardero ostinato deve saper di passaggi in toreada, il passador più feroce di  De La Riva, X Guard etc.

Io che ho il 4 davanti la seconda cifra all'anagrafe, che del BJJ non sono certo un campione né un fine esecutore (e che di questa stupenda arte privilegio l'aspetto pratico, per il combattimento reale), ho ben poca speranza di poter impiegare con successo esotici arzigogolamenti con le tibie sul petto dell'avversario, o con dispaly di somma agilità virtuosimi da yogi consumato. Chi mi frequenta sa che io credo fortissimamente nel sistema classico, nelle basi granitiche e antispettacolari: proietta-passa-finisci, OK. C'è un però: se le cose che mi piace fare e che so fare nella mia limitatezza voglio avere una speranza di riuscire  a impiegarle contro chi invece ha la giovinezza e il talento nonché la sinuosità, bisogna che conosca i suoi punti forti.

Un baldo 90kg di giovanotto come me (ehm..) fa meglio a entrare a bazooka sulle gambe, lanciare e trivellare l'opponente sul pavimento, passarlo piantarlo sotto una montada da 30000 atmosfere, e annegarlo in un barrage di finalizzazioni, questo io credo. Se però mi fisso soltanto su quello che mi viene meglio e che suppongo di saper fare a sufficienza (pia illusione), che speranza posso avere con un avversario che non gioca con le mie regole, che impiega una strategia a me ignota?

Quando l'artificiere s'approccia all'ordigno, le sue speranze di riportare il culetto a casa sono tanto alte quanta è stata ampia la sua capacità di tenere aperta la mente, di studiare ogni novità nel campo esplosivi, di ripassare continuamente i modelli-base di bomba e incuriosirsi per quelli strani e poco praticati. Inoltre il nostro uomo non dovrà mai dimenticare di andare a rivedersi i vecchi modelli, le bombe vintage, quelle che tornano sempre fuori ogni tot, come i pantaloni a campana.

L'esempio è stato fatto da un foltocrinito professor di BJJ, ma è altrettanto vero se non di più nelle MMA, anzi. Le Mixed Martial Arts voi lo sapete io le vedo come una necessaria e fatale evoluzione agonistica del Jiu Jitsu, una sua "deriva" sportiva professionale da cui non si può prescindere. Quale metodologia di confronto  disarmato ha nelle sue corde l'idea di "artificieraggio" marziale, la pratica ininterrotta di tecniche che l'atleta di suo non cercherà quasi mai di piazzare perché non confacentiglisi. Anche in questo aspetto il BJJ e il suo alter ego gabbiesco si pongono totalmente agli antipodi delle sette marziali tradizionaloidi antiche o modernissime, spero si capisca. Saper fare, non collezioni di tecniche da seminario: nasi pesti e orecchie a cavolfiore.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Credo però che non si debba confondere l' aver cognizione delle situazioni possibili con il dover imparare tutto. Pur con una pleteora di tecniche possibili lottatori e judoka ne padroneggiano a livelli altissimi una dozzina. Del resto si ha cognizione, si studiano le situazioni più frequenti ma è ovvio che è impossibile, anche per gente che si allena sei ore tutti i giorni, padroneggiare tutto ad altissimi livelli.

Mario Puccioni ha detto...

Anonimo, mi sa che non hai ben capito l'articolo. Rileggilo,
saluti

cortobraccio ha detto...

Di mio aggiungerei che l'altra professione necessaria per il buon lottatore,è quella del ladro.

Osservare gli altri,strategicamente e tecnicamente,è la cosa più interessante(oltre l'ovvio confronto con braccia diverse da quelle dei compagni di allenamento)del visitare altre palestre.

Sbircio movimenti e tecniche che non mi sono usuali,li provo,eventualmente li adatto al mio fisico e strategie....rubando.
del resto la lotta è un campo in piena espansione-esplorazione....impossibile fermarsi....e ciò la rende ancor più entusiasmante