lunedì, ottobre 06, 2014

IL PRIVILEGIO DI NON SENTIRSI SUPER EROI


Tanti anni addietro, intorno al 1995, scoprii le arti da combattimento reale per caso. Come marzialista ero perfettamente a conoscenza delle arti realistiche, votate al contatto pieno, ma mal istradato com'ero non ne capivo la natura. Fu solo scontrandomi (nel vero senso della parola) con chi si allenava per menare e non per fare forme che mi risvegliai, destandomi definitivamente con il Jiu Jitsu stile brasiliano.

Questo processo di emancipazione e crescita personale iniziò col botto e prosegui con alti e bassi ma sempre nella medesima direzione. Adesso che ho messo tra me e le arti marziali fossili quasi un ventennio, posso persino riaccostarmi ad alcuni temi che quest'ultime portano avanti con profitto, e trarne vantaggio. Sono abbastanza lontano dal quadro per vederne bene l'insieme, diciamo.

La caratteristica che meno mi manca e che è più indigesta degli ambienti fossili è la subcultura dominante: la figura tirannica del guru che sa tutto lui, e l'ossessione maniacale per i continui paragoni, le storie inventate di combattimenti etc. Sembra sempre più chiaro a me che queste discipline facciano molto male alla psiche di chi le pratica, chi segue il blog lo sa bene.

Un aspetto su cui ho riflettuto anche recentemente, è quanto NON confrontarsi mai incida sulla deriva mentale degli appartenenti a questi culti pseudomarziali. Sono tutti i giorni a tu per tu con sportivi agonisti, tra i quali anche professionisti molto preparati, e in questa categoria  mancano del tutto quelli che si potrebbero chiamare i "wannabe superhero". Sono dei duri gli atleti, ma sanno benissimo quanto menarsi sia doloroso e per questo non ostentano risse, vittorie "da strada" e si concentrano con estrema cura nell'evitare chi eventualmente sia armato.

Poi incontro gli "wannabe", gente col fisico da collaudatore di sedie a dondolo, e sono tutti pronti ad affrontare moltitudini magari armate, con spranghe e coltelli, asce e mannaie. Lo scollamento dalla realtà è macroscopico, partono del tutto per la tangente. Persone timide e dotate di occhiali spessi come i cristalli dell'Acquario di Genova, e di professione impiegati comunali o simili, s'infervorano e cominciano a cianciare di difesa da terrorista suicida o amenità consimilari. Sentono il bisogno di credere di poter mettere giù Cassius Clay con il calcetto furbo negli zebedei e di spianare Helio Gracie mercé il dito nell'occhio da sotto la montada, o magari proiettare Karelin grazie all'energia mistica!

Ricapitolando: chi combatte impara presto il suo posto nel branco e si tranquillizza, asseconda il bisogno di socialità gerarchicamente strutturata del mammifero e assume i connotati dell'adulto vero e proprio, la maturità. Chi del combattimento inespresso (represso) ha invece fatto un business o una dipendenza, sviluppa pericolose tendenze infantiloidi e narcisistiche ma anche -alle volte- sadomasochistiche. Di conseguenza m'arrischio a ipotizzare che tutte le forme cultistiche di plagio si attaglino a chi non sia davvero un uomo fatto, a una persona matura e capace di valutare la realtà, indi ragion per cui si evince che alle caste dominanti si rende necessario  proibire, stravolgere e danneggiare qualunque forma di educazione umana che vada in tal senso evolutivo della psiche.

Perdere (in accademia e in gara) è educativo, il confronto con chi è più forte è educativo. Anzi, è necessario per lo sviluppo completo della mente umana. Chi non sa perdere da un altro uomo nello scontro fisico non potrà mai superare fino in fondo la fase infantile, è nel nostro DNA. Tutti i mammiferi apprendono a diventare adulti tramite il gioco-lotta e poi gli scontri, rituali prima e per la sopravvivenza poi. Siamo fatti così anche noi, e chi lo sa se ne approfitta per dominare chi lo ignori.

E' così difficile ad esempio capire come mai nel nostro disgraziato paese sia stata fatta una religione osannata del gioco del pallone, mentre si ostacolano con tutti i mezzi le discipline del combattimento reale? Per me no.